Troppi cuochi sul piccolo schermo e cucine mezze vuote. Gastro-rivoluzione o naturale evoluzione?

Mentre tutto il compartimento ristorazione-hospitality si scioglieva come un cono gelato al gusto amarezza, andava in onda le decima stagione di Master Chef Italia, con il solito picco di ascolti, le solite mistery boxes e i soliti Chef Vip. La realtà è che di “glam e cool” il lavoro della cucina ha poco, e ha, invece, molto più a che fare con abnegazione e rinunce, poco o nulla a che vedere anche con i completi da dandy che Bruno Barbieri indossa nei programmi tv. Lo Chef è il nuovo Designer, la moda ha ceduto un po’ di spazio ai grandi del Food, anche il mondo dell’Arte evidentemente. Essere solo bravi cuochi non basta, donare e nutrire con garbo non è abbastanza.

L’egomania” che ricopre, come una fitta coperta soffocante, tutto il settore Cibo-Vino ha fatto perdere di vista a molti, non a tutti, alcuni valori sani e nutrienti, che la figura del cuoco in fondo emana, che ancora aleggiano profumati in alcune osterie, in alcuni luoghi in cui si percepisce il gusto dell’umanità. L’accoglienza gentile senza troppi fronzoli, la piacevolezza di una chiacchierata informale, pochi piatti ben fatti che scaldano il cuore. Ma il FOOD è un grande “Monstrum” che per mantenersi in salute chiede novità continue, un allure patinato, sempre fresco, non accetta la lentezza, i ritmi vitali. Dinamiche poco sostenibili, ma apparentemente necessarie, almeno fino ad oggi.

In questi giorni di farraginose ripartenze ci stiamo chiedendo in tanti, soprattutto quelli che con una attività ristorativa ci campano, come mai siano rimasti in pochi a volersi chiudersi in cucina per 12 ore al giorno, 6 (anche 7) su 7. “Nessuno vuole più diventare il nuovo Cracco? E il sogno di arrivare a chiudere contratti milionari con i grandi marchi dell’industria del cibo oppure finire in qualche talent show?” Il crollo delle certezze, lo strappo nel cielo di carta. Ci stiamo cominciando a rendere conto che forse non è più così figo essere ingranaggi di un sistema che mangia più di quello di cui avrebbe bisogno, che non ha a cuore la vita, che non rispetta la Terra, che nasconde la polvere sotto a un tappeto persiano. Per ogni Chef Vip ce ne sono decine e decine che a malapena riescono ad avere una vita sociale, che non hanno tempo, non hanno spazio per eventi luccicanti, collaborazioni con grandi Brands.

Vogliamo continuare ad andare al ristorante, riprendere a fare esperienze gastronomiche, non vogliamo rinunciare più a nulla. O forse si, si potrebbe rinunciare a idealizzare i personaggi della tv, che siano cuochi o critici, rinunciare ai programmi che propinano plastica, ai ristoranti in cui il benessere dei dipendenti non va di pari passo con la bontà delle portate e il fatturato. Bisognerà poi accettare che tutto sta cambiando, , che forse stiamo assistendo a una “Gastro Rivoluzione”, o forse solo una necessaria e “Naturale” evoluzione delle cose. Il presente ha messo le sue carte sul tavolo, la crisi è ora. Le soluzioni le possiamo trovare, le dobbiamo cercare. Cambiare habitus, cambiare pensiero, abitudini, lavoro. Facciamolo, adesso.

di Caterina Lo Casto

Nella foto: Marco Pierre White. Nato a Leeds (UK) nel 1961, è tra gli chef più celebri al mondo per il suo contributo alla cucina contemporanea. White è lo chef di nazionalità britannica ad aver ricevuto le tre stelle della guida culinaria Michelin in più giovane età, quando aveva trentatré anni. Tra i suoi allievi ci sono stati chef quali Gordon Ramsay, Heston Blumenthal, Curtis Stone e Shannon Bennett. 

Related Posts